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Immagine del redattoreLaura Gramantieri

Architetture In_Attesa


ex disco Woodpecker

Molti, me compresa, subiscono il fascino delle strutture industriali abbandonate, così come delle periferie, luoghi di transizione per eccellenza, dove tutto risulta grigio e anonimo ma solo ad un primo sguardo.

Osservando questi luoghi con maggiore attenzione è possibile cogliere un’infinità di sfumature e di storie legate, spesso, ad un importante passato di lavoro, di servizi e di opportunità.

Ravenna peraltro è una città fortemente segnata dall’industria e ha un problema ancora aperto di riqualificazione e di ricollocazione di aree deindustrializzate o dismesse, come la Darsena o l’area dell’ex Sarom.

Il patrimonio industriale, da sempre considerato elemento minore del patrimonio culturale, dovrebbe invece costituire un elemento di grande importanza per definire l’identità globale del nostro territorio, nell’ottica della conservazione della memoria storica del passato.

Trattandosi di un patrimonio eterogeneo di architetture e infrastrutture, spesso di proprietà privata, altre volte di proprietà pubblica, la salvaguardia e il recupero di questi beni risultano particolarmente complessi.

Degne di nota sono tutte quelle iniziative volte a far conoscere il patrimonio industriale di un determinato territorio. Tra queste, ricordo l’Invasione Digitale organizzata dal gruppo ARsRA, invasione che ha interessato due luoghi del recente passato industriale di Ravenna: le due torri di raffreddamento tipo Hamon dell’ex Raffineria Sarom ed il magazzino a copertura parabolica dell’ex stabilimento di fertilizzanti Sir. Due luoghi, entrambi degli anni Cinquanta del Novecento, definiti industrialmente armonici sia per la loro forma grandiosa e perfetta, nata per assolvere in modo ottimale dal punto di vista statico le funzioni per cui erano stati progettati, sia per le eccezionali qualità acustiche che da questa forma sono derivate, tant'è che ad esempio le torri sono state definite "camini sonori".

Manufatti sorprendenti ma dal destino purtroppo ancora incerto.

La scorsa estate, il collettivo Magma, in collaborazione con il Comune di Cervia, ha organizzato un festival itinerante per far rivivere spazi dimenticati ma storicamente e architettonicamente molto interessanti. Il Woodpecker, l’ex discoteca costruita a metà degli anni ’60 dall’architetto faentino Filippo Monti e abbandonata dopo l’incendio del 1970 che ne ha risparmiato solo l’affascinante cupola in vetroresina, oggi resa ancora più suggestiva da un graffito di Blu; il Centro Climatico Marino, una delle colonie più antiche di Milano Marittima e la Colonia Montecatini, in stile futurista e razionalista, progettata dall’architetto Eugenio Giacomo Faludi nel 1939 e abbandonata dal 1998.

Sempre nell’ambito della riscoperta del patrimonio industriale, in occasione della XI Giornata Nazionale del Trekking Urbano di Bologna, l’Associazione Save Industrial Heritage ha organizzato OSTalgie, un itinerario lungo la pista ciclopedonale che copre l’antica tranvia Bologna-Malalbergo.

Save Industrial Heritage, non a caso, si occupa, di promuovere il patrimonio industriale italiano ed estero, di favorire lo sviluppo del turismo industriale e di sensibilizzare l’opinione pubblica sulle tematiche del recupero e del riuso delle aree dismesse.

Si è trattato di un percorso davvero insolito per celebrare la storia di una parte negletta di Bologna, il quartiere della Bolognina Est che è stato per tutto il XX secolo il cuore industriale di Bologna, andando a sostituire l’area del vecchio porto all’interno delle mura.

Un itinerario, tutto in esterno, che ci ha portato a conoscere le Officine Minganti, nome storico della meccanica bolognese; la Caserma Sani, un'ampia area militare all’interno della quale sono presenti edifici diversi per dimensioni, epoca di costruzione, tipologia, gran parte dei quali vincolati; le Officine della Casaralta, una delle maggiori ditte produttrici e riparatrici per conto delle Ferrovie dello Stato; il deposito della Zucca, che dal 1880 al 1963 è stato l’area della rimessa dei tram a cavallo, di quelli elettrici, dei filobus e degli autobus; infine l’imponente Manifattura Tabacchi progettata da Pier Luigi Nervi.

Due luoghi, in particolare, avevano colpito la mia curiosità nel corso di quella visita: il deposito della Zucca, in cui oggi ha sede il Museo per la Memoria di Ustica e la grandiosa ex Manifattura Tabacchi. Due luoghi in cui sarei voluta tornare, per una visita più approfondita, perché la loro storia mi aveva lasciato come un sospeso.

Per colmare questo vuoto, sono tornata a Bologna, dopo meno di un mese, per visitare il Museo per la Memoria di Ustica, in occasione di una visita guidata organizzata dal dipartimento educativo del MamBo, il Museo d’Arte Moderna di Bologna.

I capannoni che avevano ospitato i tram di Bologna fino al 1963, dal 2007 accolgono i resti del DC9 Itavia. Un recupero e un riuso eccellenti, a mio avviso: l’aereo inabissatosi a Ustica è tornato nella città da cui era decollato il 27 giugno 1980, ed è tornato nel luogo storicamente deputato alla conservazione dei mezzi di trasporto.

Visitare questo Museo è stata un’esperienza forte, a tratti commovente. Una visita che ha coinvolto uno ad uno tutti i miei sensi. Entrando, l'impatto è fortissimo. L'aereo è integro ma, al tempo stesso, squarciato in migliaia di pezzi. Poi subentra l'olfatto, l'odore del ferro del velivolo che ti arriva allo stomaco come un pugno. Quindi prende nuovamente il sopravvento la vista, si vedono brillare delle luci, 81 luci che si accendono e si spengono come la vita. Infine subentra l’udito, perché si sentono le voci... 81 sussurri.

Inopportune presenze finite nel cielo sbagliato.

Insieme a me, quel giorno, c’era mia figlia che non aveva ancora 6 anni. Facevo bene a portarla? Cosa avrebbe capito? Come le avrei spiegato che in quell’aereo avevano trovato la morte 81 persone tra cui tanti bambini? Sono consapevole che la memoria non solo vada conservata ma soprattutto vada trasmessa ai più giovani, tuttavia non mi figuravo quale potesse essere la sua reazione di fronte ad un episodio tanto drammatico così mi sono consultata con un addetto del dipartimento educativo il quale mi ha rassicurata dicendomi che la maggior parte dei visitatori sono proprio bambini e studenti e che le visite tengono conto della loro giovane età. E così è stato, nessun trauma. Anzi, ho avuto un’ulteriore conferma che avessi fatto bene a portarla con me osservando il disegno che ha realizzato nel corso della visita. Un disegno molto semplice ma completo: si vede il Museo, con all'interno l'aereo, da cui si solleva un grande uccello che spicca il volo e si libera in cielo, un cielo in cui splende il sole.

Christian Boltanski, che ha curato l'installazione, ha realizzato un lavoro straordinariamente toccante, creando un luogo dove tutto, attraverso la morte, parla della vita...

Per visitare la Manifattura Tabacchi sono tornata a Bologna poche settimane fa grazie all’invito di Jacopo Ibello, presidente dell’Associazione Save Industrial Heritage che tra le sue finalità ha anche quella di promuovere la scoperta dei luoghi testimoni dell’industrializzazione.

L’imponente complesso, progettato da Pier Luigi Nervi nei primi anni Cinquanta, è un capolavoro dell’architettura industriale italiana. Oltre centomila metri quadri di superficie, gran parte dei quali vincolati, in attesa di riqualificazione e di recupero. L’ex Manifattura è stata acquistata dalla Regione Emilia Romagna nel 2009 per realizzare il futuro Tecnopolo in cui troveranno collocazione uffici e laboratori di ricerca, un centro congressi, spazi connettivi e gallerie per la città.

In attesa di questo recupero, la struttura è diventata luogo di devastazione e saccheggio. Tombini rubati, porte scardinate ovunque, centraline elettriche sventrate, controsoffitti spaccati. Tracce recenti di incendi. Degrado e desolazione.

Conservare il passato senza distruggerlo. Un'ipotesi ancora possibile, oggi?

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